«Questa notte dal cielo pioverà una lacrima e sarò una dea». Detto fatto. Dichiarazione di un esibizionista? Chi si crede di essere questo Achille Lauro, che dai suoi social lancia frasi enigmatiche e indizi che scatenano ricerche frenetiche e accendono dibattiti? Ormai dovremmo aver capito che serve guardare oltre. Un’altra serata a Sanremo, la quarta. Un’altra Me ne frego. Un altro Achille Lauro, che questa volta si presenta alla maniera della divina marchesa Luisa Casati Stampa «musa ispiratrice dei più grandi artisti della sua epoca, grande mecenate e performer prima della performing art, opera d’arte vivente» come la racconta lui stesso al suo popolo di fans e a tutti gli altri che stanno imparando a conoscerlo o che almeno, incuriositi, non hanno gettato la spugna e ci stanno provando.
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Così, sul palco dell’Ariston, arriva lei, la nobildonna figlia di ricchi commercianti di tessuti, vissuta a cavallo tra l’800 e ‘900 a Milano, poi a Venezia, Parigi e Londra. Il desiderio di diventare lei stessa un’opera d’arte attraverso il suo stile di vita e il suo aspetto la portò, in veste di mecenate, a cercare artisti affermati e giovani talenti che la ritraessero in oli su tela, bozzetti, sculture e fotografie e fu musa di grandi esponenti del Futurismo come Balla, Marinetti, Depero, Boccioni e Man Ray.
Ammettiamo, un brivido ci è corso lungo la schiena al pensiero che Achille Lauro potesse portare in scena la marchesa com’era nelle sue serate “normali”, quando passeggiava per piazza San Marco coperta solo da un mantello di pelliccia, quando usava un boa come sciarpa, faceva dipingere il suo levirero di blu per coordinarlo a un cappello o accoglieva, nei giardini della sua residenza veneziana di Palazzo Venier dei Leoni (oggi sede del museo Guggenheim) corvi albini, pavoni e ghepardi.
Ma niente uscite furry per il cantante, nessun animale selvatico si è messo a gironzolare tra le poltrone del teatro. Il costume che Achille Lauro ha scelto per la quarta serata sanremese, ispirandosi alla musa che fece impazzire il Vate, è ancora una volta firmato Gucci dalla testa ai piedi e lo ha velato di chiffon nero plissé trasparente e di un paio di collant tailor made con geometrie di cristalli, sempre neri. Non avete avuto occhi che per l’enorme e scenografico copricapo di piume color della notte con décor di cristalli con cui Lauro ha affrontato la lunga scalinata?
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Nemmeno noi, ma chi è riuscito a distogliere lo sguardo dal capolavoro calcato sulla sua testa e dal makeup violaceo che gli aureolava gli occhi (pesante, drammatico, come amava truccarsi la marchesa Casati) ha colto i dettagli degli accessori. Su tutti, il guanto di pelle armato di un rossetto (Gucci, anche quello) con cui l’artista ha dipinto le sue labbra e quelle di Boss Doms e il bracciale zoomorfo ispirato ai gioielli della marchesa.
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Se abiti e accessori sono opera di Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, c’è da sottolineare che la direzione creativa di tutte le performance di Achille Lauro, serata dopo serata, è seguita personalmente da lui insieme al suo stylist, Nicolò Cerioni e che la direzione del progetto è opera del manager Angelo Calculli, a testimoniare come le esibizioni abbiano una loro storia e siano studiate a tavolino in ogni dettaglio, non fini a se stesse.
Perché Lauro abbia scelto proprio la marchesa Casati non è poi così difficile da capire. Istrionica ed eclettica, eterea e decadente, leggendaria e dannata, musa inarrivabile, capricciosa, dispotica ed egocentrica, con la sua vita controversa è stata un personaggio di grande rottura e in anticipo sui tempi, antesignana di performing e body art. Ma c’è anche dell’altro: la divina marchesa non si circondava solo dei massimi intellettuali o di gente altolocata, ma di un’umanità complessa e variegata, gente di strada, personaggi eccentrici con cui si sentiva in egual modo a suo agio. Insofferente a regole, convenzioni e giudizi di cui, pur senza scriverci sopra una canzone, si è sempre fregata.
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