E così siamo arrivati alla fine. Che sarà l’inizio di tutto. L’ultimo indizio, in quel gioco astuto che Achille Lauro ha messo in piedi per i suoi fans e comparso, insieme al disegno di una corona, prima che la quinta e conclusiva serata del festival di Sanremo 2020 avesse inizio, recitava così: «Questa notte morirò per il mio popolo in nome della libertà per tutti». Tutti lì a immaginare una corona di spine, torso nudo e poco altro, con la croce dell’incomprensione, dell’intolleranza, del limite umano buttata sulle sue spalle. Depistati.
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Achille Lauro, che ama osare, ha osato ma non così tanto (ché non è mica uno stupido). Arriva lui e Sanremo prende la scossa, perché il rapper ha portato con sé Elisabetta I, figlia di Enrico VIII e Anna Bolena, regina d’Inghilterra e d’Irlanda, ultima monarca della dinastia Tudor, che secondo la leggenda ebbe molti amanti ma non si volle mai sposare e per questo venne definita la Regina Vergine. «Elisabetta 1 Tudor, vergine sposa della patria, del popolo, dell’arte e difensore della libertà. Che Dio ci benedica», così Achille Lauro svela l’enigma lanciato su Instagram nello stesso istante in cui poggia i suoi tacchi incandescenti sul primo gradino dell’Ariston.
Elisabetta I governò dal 1558 fino alla sua morte nel 1603 con astuzia e saggezza, trasformando l’Inghilterra in una nazione ricca e potente ma favorendo anche le arti. Sotto il suo regno venne fondato il primo quotidiano, poesia e letteratura presero vigore e il teatro dominò la vita culturale inglese: amato e difeso da Elisabetta e dalla corte contro gli eccessi dei Protestanti più intransigenti che lo consideravano immorale, conobbe il massimo fulgore con le opere di William Shakespeare.
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Ha tanto da dire Lauro, sul perché di questa scelta: «Sono stato molto colpito dalla sua indipendenza, di cui aveva fatto un vero e proprio baluardo. Mi è parso il personaggio più adatto per chiudere la serie di performance con cui, in queste sere, ho unito personaggi che in modi diversi mi hanno ispirato attraverso modalità altrettanto differenti di esprimere e vivere la libertà. Elisabetta I è riuscita a fregarsene, a tener testa agli uomini con cui si confrontava: lo faceva anche attraverso il suo aspetto, indossando abiti larghi sulle spalle, per rendere la propria fisicità imponente quanto la propria personalità e per non essere mai inferiore ai propri interlocutori maschili».
Proprio a queste sue lezioni di Queen’s style si è ispirato il look che, ancora una volta, Gucci ha pensato per la serata finale, insieme allo stylist Nicolò Cerioni e al team creativo di Lauro. Un’interpretazione pop e pittorica della sovrana, con tanto di gorgiera e crinolina tipiche dell’epoca, che nella seconda parte della performance sono state sfilate (con tocco elegante, per la verità) a rivelare un super look anni ’70 scandito da dettagli regali: camicia con strascico di chiffon rosa, pantaloni a zampa di velluto e stivaletti a tacco alto di vernice rosso sangue. Roba da far impallidire perfino la superba Cate Blanchett che interpretò Elizabeth nella pellicola di Shekhar Kapur del 1998.
Ma il meglio era concentrato attorno al viso di Lauro, circondato da una cornice iridescente di centinaia di perle applicate con pazienza certosina una a una, che i makeup artist stanno già cercando di procurarsi per i prossimi shooting e che tutte vorremmo poter sfoggiare al prossimo fancy party, magari a Venezia… E poi quella parrucca rossa, sempre illuminata da gocce di perla, che ricordava l’acconciatura della regina. Il tutto condito con le mosse tipiche del rapper, quella faccia da schiaffi, la posa con la mano sul fianco, le smorfie, il suo flirtare con il producer e chitarrista Boss Dums (anche lui in Gucci e con ciglia acuminate arcobaleno), l’aria sprezzante ma forse anche schiva o stupendamente menefreghista.
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Un mix esplosivo che è piaciuto, fin da subito, ad Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, che non a caso ha inglobato a tempo di record Achille Lauro nella sua galassia. «Lauro è una persona dotata di una grandissima sensibilità e creatività e con un grado di libertà che mi attrae molto – ha dichiarato –. Avevamo già collaborato prima di questa straordinaria esperienza e mi aveva da subito affascinato per la sua grande personalità. Collaborare con lui per Sanremo è stata una conseguenza naturale, è bello lavorare con persone libere, che volano alto e che portano avanti un messaggio forte rispetto ad argomenti importanti».
Insomma, comunque sia andata sarà un successo (parlando del brano Me ne frego, che si è classificato all’ottavo posto ma che da domani sentiremo in ogni dove). Ed è stata una vittoria, parlando delle performance di Lauro. Perché è vero che con lui sul palco sembrava di assistere a Sanremo 3020. Perché – sia piaciuto o no – è vero che interpretando a modo suo San Francesco, David Bowie, la Marchesa Casati e infine Elisabetta d’Inghilterra, Achille Lauro, quasi 30enne rapper romano, ha levato alta la sua spada verso preconcetti e stereotipi retrogradi e anacronistici, verso il conformismo, le barriere di genere e ogni altra zavorra.
Ha portato nelle case degli italiani, con prepotenza e leggerezza insieme, la filosofia queer e genderless, ha voluto rendere omaggio all’arte nelle sue migliaia di sfaccettature, tutte ispiratrici. E ha voluto liberarci, sempre a modo suo, a suon di tutine, makeup eccentrici, piume e chiffon, dall’ignoranza, dall’indifferenza, dai tabù.
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Così come Elisabetta I Tudor ha lasciato una traccia indelebile nelle pagine della Storia, Achille Lauro l’ha lasciata nella memoria sanremese. E in quella di tutti coloro che, grazie al suo viaggio, impareranno a essere sempre se stessi e ad affrontare sfide e difficoltà al ritmo di sonori «Me ne frego».
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