È stato assordante il silenzio che in tutti questi mesi ha rimbombato nelle sale dei musei. Spazi vuoti, inanimati, spenti, serrati dagli effetti di un virus che ha anestetizzato il potere della cultura, debilitandolo e chiudendolo a chiave nelle sue sontuose sale sparse per il nostro stivale.
Eppure, come nelle migliori delle convalescenze, l’arte è tornata, più forte di prima, per abbattere il muro eretto dalla pandemia e riaccendere nel pubblico quel desiderio mai assopito di apprezzarne il suo inestimabile valore. A farsi promotore di questa nuova ripartenza è Prada, che ha reso possibile l’apertura di Archaelogy Now di Damien Hirst, la prima grande mostra nell’era post Covid aperta presso la Galleria Borghese di Roma. Un supporto generoso e importante quello della griffe, frutto di quel fervore culturale che da sempre la anima spingendola a indagare campi come la filosofia, la letteratura, l’arte, l’architettura nella ricerca di linguaggi innovativi.
A cura di Anna Coliva e Mario Codognato, l’esposizione conta oltre 80 opere dell’artista tratta dalla serie Treasures from Wreck of the Unbelievable – esposta per la prima volta a Venezia nel 2017 a Palazzo Grassi e a Punta della Dogana – che affiancano i capolavori antichi e comprendono sculture sia monumentali che di piccole dimensioni, realizzate in materiali come bronzo, marmo di Carrara e malachite.
Ad abbracciare il percorso espositivo, l’incantevole cornice della Galleria, un museo con una superba collezione di capolavori della statuaria romana classica, della pittura italiana del Rinascimento e di quella del Seicento, e le più importanti sculture di Bernini e Canova. Un luogo che possiede una ricca e originale decorazione data da una varietà di materiali e colori: marmi, stucchi, mosaici. I lavori di Hirst si inseriscono nell’ambiente alla perfezione. Realizzate in marmo, bronzo, corallo, cristallo di rocca, pietre dure, le sue opere esaltano il desiderio di multiformità del suo fondatore, il Cardinale Scipione Borghese. Ma non solo.
La mostra presenta anche un gruppo di dipinti dalla serie di Hirst del 2016 intitolata Colour Space, che costituisce sia uno sviluppo degli Spot Paintings sia una rivisitazione della prima opera di quella serie in cui le macchie erano dipinte liberamente. Colour Space vede l’infiltrazione, nelle parole di Hirst, di «elementi umani». Queste opere sono come «cellule al microscopio». Rompono l’idea di una immagine unificata, fluttuano nello spazio, scontrandosi e fondendosi l’una nell’altra, con un senso di movimento che contraddice la stasi della tela.
L’inaugurazione della mostra è avvenuta l’8 giugno alla presenza di molti volti noti e rimarrà aperta al pubblico fino al 7 novembre 2021.
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