La bancarotta è la nuova tendenza lanciata dai fashion retailer americani. Dopo Forever 21, Barneys e Opening Ceremony, ora anche Macy’s vara un serrato piano di chiusure. Tagli drastici nel (vano) tentativo di salvare la pelle?

Una facciata tipica degli store Macy’s.

Il piano anti-fallimento

L’ultima strategia anti-fallimento dei grandi magazzini fondati nel 1858 – a cui fanno capo anche Bloomingdale’s e Backstage – prevede la chiusura di 125 negozi nei prossimi tre anni in 19 Stati. Macy’s eliminerà anche circa 2mila posizioni lavorative, che rappresentano il 9% del personale aziendale e di supporto. Secondo le previsioni, il marchio serrerà anche gli uffici di Cincinnati e San Francisco e una sede dell’azienda, spostando tutti gli impiegati rimasti in un ufficio all’ultimo piano dei grandi magazzini di Manhattan. “Tagli profondi, dolorosi ma necessari” ha dichiarato il ceo Jeff Gennette. Insomma, per salvare la catena ci vorrebbe un vero e proprio Miracolo – che va ben oltre la 34° strada.

Non solo Macy’s

Correva il settembre 2019 quando il colosso fast fashion per teenager Forever21 presentava istanza di fallimento, chiudendo ben 178 sedi negli Stati Uniti. Stessa sorte per il negozio di moda luxury Barneys, pietra miliare dell’American Dream. Secondo leggenda, Barney Pressman aprì il primo negozio nel 1923 a Manhattan grazie ai cinquecento dollari ottenuti vendendo l’anello di fidanzamento della moglie. A novembre 2019 il grande magazzino è finito nelle mani di Authentic Brands – proprietario di label come Juicy Couture, Nine West e Nautica – per circa 271 milioni di dollari. E ora Barneys si deve accontentare di occupare il quinto piano del concorrente di sempre Saks Fifth Avenue. È andata peggio al brand e rivenditore fondato nel 2002 dai designer americani Carol Lim e Humberto Leon: Opening Ceremony, che dopo essere stato acquisito a gennaio 2020 da parte di New Guards Group – l’azienda nell’orbita di Farfetch cui fanno capo tra gli altri Off-White, Palm Angels ed Heron Preston – ha annunciato la chiusura dei suoi spazi retail (due store a New York, uno a Los Angeles e uno a Tokyo) entro la fine dell’anno.

Triste destino o scorretta strategia?

Fashion retailer diversi accomunati da un unico, triste destino. O forse, sarebbe meglio dire, una scorretta strategia. Fondati perlopiù quando gli acquisti moda sul web non erano ancora diffusi come oggi (o erano ancora solo una vaga idea), non hanno saputo intercettare il cambio delle abitudini dei nuovi consumatori, in cerca di una shopping experience rapida, connessa, dedicata. “Tutto e subito”: quello che oggi si trova con più facilità nei multibrand online, che si tratti di catene low cost o player di lusso. I grandi magazzini non riescono a fronteggiare la concorrenza dell’e-commerce, un canale di vendita sempre più in crescita (del 15 – 20% nel 2019 in Paesi come Uk, Olanda, Francia, Cina e USA secondo gli ultimi dati di Confcommercio; +5,7 in Italia).

Le protagoniste di Sex and The City, ritratte di fronte allo store di Barneys a New York: la loro meta di shopping preferita.

Uno su mille ce la fa

Per tanti che Oltreoceano gettano la spugna, c’è anche chi ce la fa. Uno su tutti: Ssense, il fashion retailer online di ricerca specializzato in stilisti di nicchia, streetwear e capsule collection, nato in Canada nel 2003 dall’idea di due fratelli di origine siriana e celebre in tutto il mondo fashion. La piattaforma, disponibile in 114 Paesi, ha inaugurato di recente un nuovo store nella sua città natale, Montreal, firmato dall’architetto David Chipperfield. 13.000 piedi quadrati nella città Vecchia: una location che aspira a essere più di una semplice boutique di lusso. La sua ambizione? Quella giusta: diventare l’estensione reale della presenza virtuale di Ssense, puntando sulla connessione tra negozio online e fisico. I clienti possono prenotare abiti e vestiti sul sito e presentarsi poi in store, per provarli dopo poche ore. In Europa qualcuno ha già seguito con successo il suo esempio, come i tedeschi di Mytheresa, o li ha addirittura preceduti, come i londinesi di Net-a-porter (nel settore fast fashion, basti pensare all’inglese Asos). Gli altri? Hanno ancora molto da imparare…

Gli interni del negozio Ssense a Montreal.

 

L’articolo Fashion retailer in crisi: anche Macy’s chiude i battenti. Perché? sembra essere il primo su iO Donna.

ARTICOLO TERMINATO!

E come sempre ti raccomandiamo: se hai domande,dubbi, chiarimenti di qualsiasi tipo, scrivici nei commenti o lascia la tua valutazione! Il team di gomoda è al tuo servizio per la scelta del prodotto migliore. Un saluto!

Privacy Settings saved!
Impostazioni

Quando visiti un sito Web, esso può archiviare o recuperare informazioni sul tuo browser, principalmente sotto forma di cookies. Controlla qui i tuoi servizi di cookie personali.

Questi cookie sono necessari per il funzionamento del sito Web e non possono essere disattivati nei nostri sistemi.

Questi cookie sono necessari per il funzionamento del sito Web e non possono essere disattivati nei nostri sistemi: %s.
  • wordpress_test_cookie
  • wordpress_logged_in_
  • wordpress_sec
  • CookieConsent
  • PHPSESSID
  • __cfduid
  • local_storage_support_test
  • wc_cart_hash_#
  • wc_fragments_#

Rifiuta tutti i Servizi
Accetta tutti i Servizi