Questo articolo è pubblicato sul numero 13 di Vanity Fair in edicola fino al 30 marzo 2021

Ha un segreto Giovanna Engelbert, ma se ci passi un po’ di tempo insieme alla fine lo scopri. Milanese, innamorata pazza della moda fin da quando da bambina camminava per via Monte Napoleone, guardando le vetrine e dicendo a se stessa che, in un modo o nell’altro, lei in quel mondo ci sarebbe entrata. La prima porta che si apre è quella di modella, perché, oltre a essere bella, ha una sensualità bourgeois alla Catherine Deneuve che conquista subito Domenico Dolce e Stefano Gabbana, con cui nasce una grande amicizia. Poi arriva Anna Dello Russo, indiscussa fashion icon e nel 2002 direttrice di L’Uomo Vogue, dove Giovanna si fa le ossa come stylist. Lì affina la sua estetica sofisticata dal tocco sbarazzino, un miscuglio irresistibile di charme e allegria. Quando in tanti si sarebbero sentiti già appagati, Giovanna capisce che è tempo di fare un altro salto: lascia Milano per trasferirsi a New York dove, in ordine sparso, fa consulenze per grandi realtà del lusso e produzioni teatrali, continua a scattare per magazine blasonati e dà alle stampe il libro Gio_Graphy. Fun in the Wild World of Fashion, celebrazione a cuor leggero del suo stile sparkling-chic. Nel 2016 sposa Oscar Engelbert – svedese, riservato e tra i più importanti immobiliaristi del suo Paese per gli edifici di prestigio – con un matrimonio spettacolare a Capri, tra lo scenario da urlo della cerimonia davanti ai Faraglioni e la piazzetta a fare da cornice alla festa. Per chi non teme botte di nostalgia canaglia nel vedere gente che si bacia, abbraccia, fa trenini, ride e scherza come succedeva in epoca pre-Covid, in rete ci sono immagini e video del mega party dove Giovanna emana una joie de vivre autentica. La stessa che ha saputo imprimere alla sua sfida più grande: ridefinire l’identità di un tempio della luce come Swarovski. Nel marzo scorso Engelbert, nel frattempo divenuta madre di Talitha Italia che ha oggi due anni, viene nominata direttrice creativa di tutta la compagnia, prima volta nei 126 anni di storia dell’azienda austriaca che ha di fatto inventato la tecnica di taglio e realizzazione di cristalli di altissima qualità con cui brillano non solo anelli, orecchini e collier, ma anche la moda, il design d’interni, il cinema. Insomma, se pensate che sia un incarico come un altro, sappiate che reinventare il portafoglio prodotti di tutte le divisioni è un’impresa titanica già in condizioni normali, figurarsi poi se tutto il team lo puoi vedere solo sullo schermo del tuo computer. L’appuntamento è fissato nella sala per ricevimenti di Cracco in galleria Vittorio Emanuele II, appena prima che la Lombardia ripiombi in zona rossa.

Giovanna si muove sicura tra le sue creazioni volutamente sopra le righe, a vederla così sembra che niente possa scalfirla. Irradia energia nel suo tailleur giallo bon chic bon genre che su di un’altra potrebbe fare signora, mentre a lei sta d’incanto. Gialla è anche la mascherina tempestata, ça va sans dire, di cristalli, e il motivo di tutto quel yellow power sta pochi metri più sotto nella Instant Wonder, gialla dal pavimento al soffitto e affacciata sull’ottagono simbolo della città, ovvero la prima di una serie di 28 boutique inaugurate a ruota in tutto il mondo per raccontare il nuovo universo Swarovski, rivisto attraverso i suoi occhi scintillanti.

Come si fa a progettare uno store e degli oggetti che sembrano usciti da un mirabolante negozio di caramelle in tempi tanto bui?
«Proprio per questo li ho voluti così. Sono entrata in azione nella mia nuova veste (dal 2016 era già alla guida della divisione B2B del marchio, ndr) proprio quando
la pandemia stava dilagando e il mondo viveva giornate di angoscia. Avevo davanti a me un foglio bianco su cui scrivere una nuova pagina di stile e tutto intorno lo sgomento del Covid. Come prima cosa ho affrontato il risvolto psicologico e mi sono domandata quale potesse essere il ruolo dei gioielli nella società attuale. La crisi che stiamo vivendo ha dei contorni quasi incredibili e, purtroppo, delle ripercussioni paragonabili a una guerra. In questo contesto è ovvio che un gioiello non è affatto necessario, eppure c’è più che mai bisogno di sogno, di positività, di colore. “Mood-boost”, ecco le prime parole che ho scritto su quel pezzo di carta che conservo ancora adesso. In passato i monili avevano una ben precisa valenza sociale, perché trasmettevano subito lo status di chi li indossava, ma non è questo il nostro caso e nemmeno l’idea di ostentazione di ricchezza. Oggi li viviamo più come un rituale intimo, il gesto di abbellirsi per il piacere di essere creativi, di prendersi cura di sé, di esprimersi liberamente».

E secondo lei le donne oggi che storia vogliono raccontare?
«Questo progetto è pensato per tutti, non l’ho mai inteso come un universo solo femminile, oppure solo dedicato a una certa fascia d’età o di reddito. Il coraggio è forse una delle doti di cui più abbiamo bisogno perché non è facile oggi attingere alle proprie riserve interiori, però ho riflettuto su di un fatto: se ti diverti, il coraggio ti viene. Il buon umore è un qualcosa che infonde audacia e allora mi sono concentrata su colori accesi, forme importanti, cristalli che si fanno notare anche durante una riunione su Zoom».

Nel dibattito sullo smart working lei da che parte sta, favorevole o contraria?
«Questa è la prima intervista che riesco a fare di persona dopo tanto tempo e ne sono entusiasta. Lavorare a distanza ha reso ancora più complesso il mio compito, però il fatto di entrare tutti i giorni nelle case delle persone che mi affiancano mi ha permesso di conoscerli meglio. Se ci fossimo incontrati solo in un ambiente di lavoro non avrei mai scoperto certi aspetti dei diversi caratteri».

Che cosa le è rimasta più impressa di quei momenti di fervore creativo?
«La mia è la classica situazione in cui hai il mandato di rivoluzionare tutto, ma all’inizio ti sembra di non poter cambiare niente. Se c’è una cosa che ho imparato nei miei anni accanto a un personaggio incredibile come Franca Sozzani (la scomparsa direttrice di Vogue Italia, ndr) è che la parola impossibile non esiste. Quando proponi una modifica radicale la prima reazione spesso è negativa, ma il team mi ha aiutata moltissimo nel trasmettere a tutti la spinta di rinnovamento. E quando ci siamo ritrovati alle undici di sera, stravolti da una giornata infinita, a dare gli ultimi ritocchi allo store in Galleria con il sorriso sulle labbra ho capito che la mia strategia aveva funzionato».

E sarebbe?
«Sdrammatizzare! Dietro a ogni prodotto, agli allestimenti, alle immagini evocative come quelle che vedono protagonista la top model Adwoa Aboah ci sono infinite ore di lavoro, discussioni e passaggi, ma per me è fondamentale saper ridere. E poi, se penso alla fortuna che ho di potermi confrontare con i cristalli. Sono eccezionali, potrei passare le ore a guardarli, così magici».

Come si sente quando le dicono che ha fatto un gran lavoro?
«Mi emoziono».

All’improvviso le si inumidiscono gli occhi. Ecco il suo segreto: Giovanna è rimasta umana.

(Foto Lorenzo Bringheli)

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