Da qualche giorno H&M è sparito dalle maggiori piattaforme di shopping on line cinese, da colossi come Tmall e Alibaba. Il motivo? Avere preso posizione mesi fa sulle accuse di lavoro forzato e discriminazione nei confronti della minoranza musulmana uigura della regione dello Xinjiang dove viene prodotto circa il 20% del cotone usato in tutto il mondo.

Si tratterebbe di un boicottaggio chiesto a gran colpi di click dagli utenti della rete cinese attraverso Weibo, un popolarissimo social network paragonabile a Twitter. La situazione sul piano internazionale si sta facendo incandescente: per la prima volta da Tienanmen, l’Europa sanziona la Cina per violazione dei diritti umani nei confronti degli uiguri. A causa di questo, scandagliando il web, è riemersa una dichiarazione di H&M: il gruppo svedese, allarmato da ciò che emergeva nei rapporti di alcune organizzazioni, annunciava l’interruzione di un rapporto di fornitura con un produttore di filati dello Xinjiang.

«Fino a quando non avremo maggiore chiarezza sulle accuse di lavoro forzato, abbiamo deciso di eliminare gradualmente il rapporto commerciale con l’azienda nei prossimi 12 mesi» scrivevano nel comunicato riemerso dall’oblio, promettendo un’indagine approfondita sul rispetto dei diritti umani negli stabilimenti da cui si approvvigionano in Cina.

Il governo cinese rispedisce al mittente ogni accusa. Il partito al potere non tollera che compagnie come H&M si intromettano in queste questioni. «Volete fare soldi in Cina diffondendo voci false e boicottando il cotone dello Xinjiang? È una pia illusione!» gridano su Weibo mentre alcune celebrità cinesi, già testimonial del marchio, si oppongono ai tentativi di diffamare il loro paese. Le piattaforme di e-commerce, sollecitate su una risposta, tacciono e non si sa ancora se la messa al bando sia temporanea o permanente. I negozi al momento sono ancora aperti. Una vicenda da tenere d’occhio: la Cina, con 339 milioni di dollari di vendite nel 2020, rappresenta infatti il quarto mercato del gruppo svedese.

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