A giudicare dalla settimana della moda appena conclusa in quel di Londra, la Brexit non ha spento la creatività dei brand. Classe ed eleganza l’hanno fatta da padrone nelle collezioni dei designer che si sono rivelate piuttosto riflessive. Un tema più di altri ha tenuto banco, quello della sostenibilità. Come conciliare il rito con le esigenze del pianeta è un tarlo nelle coscienze dell’industria del fashion.
Ecco cosa è successo alla London Fashion Week nei tradizionali dieci punti.
1. La dolce ribellione di Victoria
Sovversiva e sofisticata. Definisce così il suo ideale di donna Victoria Beckham nella descrizione della collezione andata in scena domenica scorsa alla Banqueting House sotto il soffitto dipinto dal Rubens. Nelle parole della designer una sorta di manifesto che più che trarre ispirazione da una figura femminile in particolare, fa appello a un codice di comportamento dove non devono esistere regole e costrizioni. Il risultato è una proposta adatta al giorno e alla sera con una vestibilità che va oltre la passerella. La tradizione è rispettata grazie all’impiego di tessuti e pattern che si rinnovano grazie alla freschezza di forme e volumi. Il gotha della moda applaude allo show in cui anche stavolta non ci sono occhi che per la piccola Harper. Seduta sulle gambe del padre David e di fianco all’oramai «amica di vecchia data» Anna Wintour, indossa per la prima volta un abito disegnato apposta per lei dalla madre. Adorabile!
2. Il sogno di Lena
La passerella fa tremare le gambe anche di una tipa tosta come Lena Dunham. L’attrice, regista, produttrice, creatrice della fortunata serie tv Girls nonché attivista ha debuttato in passerella chiamata dal brand 16Arlington. Dopo averle visto indosso un loro abito in occasione della prima di «Once Upon A Time In Hollywood», il duo di origine italiana composto da Marco Capaldo e Kikka Cavenati ha chiesto alla Dunham di sfilare per loro e la risposta è un entusiastico sì. Famosi per i loro party dress, 16Arlington sta dedicando parte della propria ricerca alla realizzazione di modelli studiati per essere indossati anche da una taglia fino alla 50. «Tutte le ragazze sono belle a modo loro» dicono a Harper Bazaar Cavenati e Capaldo «siamo nel 2020, non esiste più il corpo perfetto. La bellezza della moda è vedere qualcosa che ami sulla passerella e poterlo comprare in seguito. Quell’idea dovrebbe essere accessibile a tutti indipendentemente dalle dimensioni». Chi meglio dunque di Lena Dunham, una delle celebrità più impegnate a promuovere il concetto di body positivity, a rappresentare l’anima del brand.
3. Celebrità e carrambate alla sfilata di Tommy Hilfiger
Una mamma emozionata pubblica orgogliosa la sfilata del figlio su Instagram. Tra i commenti una sua cara amica ed ex collega le comunica che su quella pedana c’è anche il nipote. Sarebbe una banale conversazione su un social se non fosse che le persone coinvolte sono Helena Christensen e Christy Turlington. Mingus Reedus, figlio della supermodella degli anni ’90 di origine danese, e James Turlington, nipote del volto storico di campagne pubblicitarie come quella di Eternity di Calvin Klein, hanno condiviso la passerella allestita alla Tate Modern per lo show firmato Tommy Hilfiger. All’evento TOMMYNOW in cui sono state presentate le collezioni see-now-buy-now e sostenibili TommyxLewis in collaborazione con il pilota di Formula 1 Hamilton e quella nata dalla partnership con la cantante H.E.R., hanno sfilato altre celebrities con parenti illustri come Lottie Moss, Lennon Gallagher, Pixie Geldof, Georgia May Jagger e suo fratello Lucas o modelle come Yasmin Le Bon (lei in entrambe le categorie), Jourdan Dunne, Jodie Kidd, Winnie Harlow, Alessandra Ambrosio, Halima Aden, Candice Swanepoel. A dominare la scena Naomi Campbell che con un look sportivo ha aperto le danze. Sarà stata amorevole dietro le quinte con i giovani Mingus e James in modalità «amore della zia»? Questo Helena e Christy non ce lo dicono.
4. Vivienne Westwood, punk e sostenibile per Julian Assange
È la solita leonessa Vivienne Westwood che continua a usare la sua moda per lanciare un grido d’allarme sulle questioni che le stanno a cuore. Recupera modelli dal suo archivio e grandi classici della tradizione come il tweed e il tartan abbinandoli a tessuti e dettagli che non impattano sull’ambiente come i bottoni riciclati, il cotone organico e la lana trattata eticamente nel rispetto degli animali. La mostra True Punk è parte integrante della presentazione allestita alla Serpentine Gallery, la modalità scelta dalla designer-attivista per sostenere l’amico Julian Assange in attesa del processo in programma il 24 febbraio a Belmarsh, il carcere di massima sicurezza in cui è detenuto.
5. La sostenibilità è contagiosa
I brand cominciano a rincorrersi sul tema della sostenibilità. Non ci sono solo Tommy Hilfiger e Vivienne Westwood ma oramai l’attenzione all’ambiente è un ingrediente che non può mancare in questo inizio di anni ’20. Mulberry articola il suo impegno in diverse iniziative come Mulberry Exchange, l’operazione attraverso la quale con la restituzione della vecchia borsa si ottiene lo sconto per una nuova, e il pellame 100% sostenibile del modello Portobello e il lancio di una linea realizzata in Econyl, un nylon rigenerato, chiamata M. Il denim sostenibile di J Brand incontra sulle passerelle di Londra il glamour di Halpern. Il marchio californiano noto non solo per il comfort dei suoi capi ma anche per proporre un jeans etico, dopo aver collaborato con Simone Rocha, Proenza Schouler e Christopher Kane, lancia una capsule collection dal sapore seventies con l’emergente Michael Halpern. Nomi interessanti su questo fronte si leggono anche tra i vincitori dell’International Woolmark Prize, il riconoscimento che premia l’utilizzo innovativo della lana come materia prima e la creatività dei designer. La collezione di Richard Malone mescola la moda circolare con l’impiego di tinture biologiche mentre Emily Adams Bode, fondatrice del brand Bode, si è aggiudicata il Karl Lagerfeld Award for Innovation grazie al recupero di tessuti lavorati secondo tecniche antiche come l’uncinetto reinterpretati in chiave contemporanea.
6. Proteste a Londra, torna Extinction Rebellion
La richiesta è quella di annullare la settimana della moda a Londra il prossimo settembre. L’impegno dichiarato da molti brand non è abbastanza per gli attivisti di Extinction Rebellion che con una vistosa protesta sullo Strand e una a Gatwick, oltre a bloccare il traffico e a creare scompiglio al terminal dell’aeroporto, hanno presentato le loro istanze al British Fashion Council chiedendo una presa di posizione concreta sul tema ambientale. Si tratta della seconda manifestazione a Londra (la scorsa stagione fu inscenato un funerale) che segue quella della frangia newyorkese del movimento. «Non si tratta di sostenibilità. Le persone si confondono per la sostenibilità e i cambiamenti climatici: i due sono collegati ma non rappresentano la stessa cosa» chiarisce Clare Farrell, una delle fondatrici di XR «il nostro compito è protestare nel modo più rumoroso possibile: il futuro della moda è nelle mani dei suoi leader ma noi non possiamo riporre speranze in loro. Per questo lo facciamo».
7. Sulle tracce di Chalayan, tra musica e Google Maps
Cantarsela e suonarsela nel vero senso della parola. Lo ha fatto Hussein Chalayan presentando la sua collezione ispirata, come quella maschile andata in scena il mese scorso, alla tradizione aborigena animista. Nel loro cammino terreno, gli indigeni lasciano tracce sonore – dette «songlines» – interpretate secondo il suo sentire dal designer britannico di origine turco-cipriota con Mark Moore e Dan Donovan, rispettivamente degli S’Express e dei Big Audio Dynamite. Quattro brani hanno accompagnato le modelle vestite di abiti dalle forme lineari, morbide, tendenzialmente monocromatiche, sartoriali che si muovevano su uno sfondo che riproduceva gli spostamenti dello stilista casa-studio identificati su Google Maps da considerare come moderne tracce dell’anima.
8. Le memorie di Riccardo
I ricordi personali del designer si fondono nella collezione di uno dei brand simbolo della Gran Bretagna. L’ha chiamata «Memories» Riccardo Tisci la sfilata-evento di Burberry andata in scena tra il pavimento specchiato (come aveva già fatto nei giorni precedenti la sua collega Victoria Beckham) e il soffitto di ferro dell’Olympia di Londra. Tisci si è affidato al ragazzo che era per la vena creativa, quello che nella capitale britannica pre-Brexit ha imparato il mestiere diventando l’uomo che è oggi. Tutto è stato fonte di ispirazione per lui, dalla musica del tempo agli amici passando per i luoghi. La memoria mitiga il sentimento della nostalgia che impregna i trench dalle spalle cadenti, il tartan marchio di fabbrica della maison, le divise sportive e i completi. Ad accompagnare lo show, anche qui musica dal vivo: in pedana due pianoforti a coda suonati dalle sorelle francesi Katia e Marielle Labèque in una performance live della producer Arca.
9. Roland Mouret e la sua collezione politica
Non sono stati i soliti anni ’80 a ispirare Roland Mouret ma piuttosto quelli di Margaret Thatcher quando la tensione sociale era alta e si combatteva ogni giorno per la rivendicazione dei propri diritti. «Le tue bugie non sono i miei sogni» scrive lo stilista nei foulard di seta riferendosi chiaramente alla Brexit. Le giacche sono voluminose così come i pantaloni, le gonne coprono le ginocchia mentre i fiocchi, le cinture e le cuciture donano una allure chic ad abiti piuttosto castigati in cui emerge il desiderio di scoprirsi e liberarsi. Anche la realizzazione dei capi è politica: il 54% dei materiali è ecosostenibile mentre per la fine dell’anno, da programma, il brand dovrebbe diventare carbon neutral.
10. L’abito da sposa è di moda
Alcune uscite in questa tornata di sfilate, ben si presterebbero a passare dalla passerella all’altare. Ci sono gli abiti avorio di Simone Rocha con veli che ricoprono il viso oppure quelli di Emilia Wickstead che per questa collezione, ottima per cerimonie informali o ospiti, si lascia ispirare dalla star del cinema messicano Dolores del Rio. Anche l’irriverente collezione di Richard Quinn, tra total look comprensivi di maschere, latex, fiocchi enormi, fiori e colori, ha voluto inserire un abito da sposa a chiusura del suo show così come Dilara Findikoglu, la stilista di origine turca che ha presentato alcune proposte da adattare a un matrimonio fuori dagli schemi. Il motivo? Stando a quanto suggerisce il Financial Times, il «Meghan effect» ha determinato un’impennata di vendite nel settore degli abiti nuziali: le donne inglesi risparmiano sulla festa ma non sul vestito. Un sogno che non perde la sua forza nemmeno nel 2020.
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