Nelle fiabe ci sono fate che a colpi di bacchetta compiono magie. Ma questa è una storia vera: quella di una maga che seppe muovere non bacchette, ma lunghi aghi di macchine con cui realizzò incantesimi… di maglieria. «Il successo l’ho raggiunto lavorando come una matta, perché a mezzo servizio non si va da nessuna parte. Lavorare bene è sacrificio; io, mi sono anche divertita».
Una vita leggendaria
Nel mondo della maglieria italiana Miss Deanna sarebbe “solo” un’istituzione, se la sua vita a dir poco cinematografica non l’avesse resa leggenda. «Ma lei la storia la conosce, vero?» sorride Deanna Ferretti Veroni che, con integerrima umiltà, della propria bravura non ama troppo sentir parlare. La storia di colei che fra gli anni Settanta e Duemila, nel distretto di Reggio Emilia, realizzò maglie per i più celebri stilisti italiani e mondiali, stranamente non è nota a tutti. Perché quando negli anni Sessanta il padre di Deanna si ammalò, la famiglia diversificò gli affari; fra questi, una stazione di servizio nel cortile di casa. Lei, attivissima nel realizzare modelli in casa con una macchina comprata come investimento, dava il cambio al fratello a ora di pranzo. Finché una mattina si fermò una lussuosa macchina in avaria di due inglesi diretti a Milano: consegnata l’auto a un meccanico, Deanna li caricò sulla sua Fiat Topolino per portarli in stazione, rifiutando una generosa mancia.
Dal garage di casa ad Harrod’s
Un mese dopo, tornati a ritirare l’auto con una scatola di cioccolatini per lei, notarono alcune maglie prodotte da Deanna nel retro di casa. Fu facile capire come nei due signori – uno erede della famiglia di grandi magazzini Harrod’s – la riconoscenza avesse lasciato posto a una sincera ammirazione: «Saresti in grado di produrci un ordine?». E così fu. Le prime collezioni andarono esaurite in breve tempo. E da lì Parigi, Londra, Olanda… «Presi un agente per l’Italia. Vendevo ai grossisti, avevo un occhio avveniristico; ricordo abitini di maglia rifiniti da bordi in finta pelle… non si usava. Al tempo la novità era ancora quella di nomi come Paco Rabanne». L’azienda crebbe finché, nel 1971, con il marito trasferì l’attività a San Martino in Rio, 20 minuti da Reggio, che ancora oggi ospita la Modateca Deanna.
Le collaborazioni con la moda
Si avviarono così le collaborazioni con grandi nomi della moda italiana: qui, presero vita le maglie che decretarono persino il successo di Kenzo. E poi Krizia («Una donna dura, bravissima, con lei tutto poteva cambiare all’ultimo momento»), Max Mara, Enrico Coveri… Giorgio Armani le offrì Emporio Armani: «Ma non accettai, le richieste erano enormi, avrei dovuto concentrarmi solo su quello. Ogni anno io e mio marito amavamo invece inserire nomi giovani, oltre ai nostri soliti clienti». Con Valentino imparò le proporzioni, seduta al suo fianco a Roma quando, spillo dopo spillo, il couturier sistemava i capi sulle modelle. «Non mi sono mai ritenuta una designer, incarnavo la tecnica al servizio dello stile; proponevo idee e lavorazioni, miglioravo ciò che era poco realizzabile. Lavoravo con tutti allo stesso modo. Vedi questi tavoli, dove stiamo pranzando? Anche loro mangiavano qui. Ognuno aveva una sala dedicata e privatissima, ma ai pasti si sedevano insieme parlando di tutto».
Lo sguardo vaga nelle sale dove migliaia di libri e riviste la ispirarono. «Valentino voleva una rosa? Io studiavo e gliene portavo dieci. Lui sceglieva il punto e i colori che avrebbero fatto nascere “la” rosa. Così tanti animali di Krizia, i fiori di Kenzo… con lui si lavorava molto a jacquard, ma la tecnologia mancava! Passavo notti colorando i disegni che avrebbero fornito l’input alle macchine». E poi Margiela, che arrivò chiedendo un sogno: una maglia che potesse stare in piedi da sola. In un angolo dell’archivio spicca ancora il manichino bruciato con cui provarono a “cuocere” in altoforno un capo che avrebbe dovuto restare scultoreo; il successo si ottenne riprovando con manichini in metallo. «Negli anni Ottanta chiamai una coppia di designer lanciando la mia linea, Pour Toi. Durò qualche anno. Al tempo conoscevo tutto ciò che offriva il mercato: e così ho iniziato a produrre quello che, secondo me, mancava».
La Modateca Deanna
Oggi, quel mondo è al servizio di tutti. Merito di sua figlia, Sonia Veroni (sotto): a lei si deve l’attuale corso della Modateca Deanna, ma anche la nascita (nel 2015) del Master in “Maglieria, Creative Knitwear Design”, realizzato con Accademia Costume & Moda di Roma. «Mi ero appena trasferita a New York quando mio fratello morì. Fu uno shock. Io continuai la mia carriera nella pubblicità in America mentre pochi anni dopo, nel 2001, il maglificio venne ceduto ad Armani: ma non l’archivio, che nel frattempo aveva acquisito dimensioni stratosferiche. Mia madre restò in azienda per qualche anno, finché la sede non venne spostata. Avevo già capito che la mia vita negli States non poteva continuare e, dopo cinque anni all’estero, rientrai in Italia.
“Perché non mi aiuti a capire cosa tenere di tutta questa roba?”, fu la prima richiesta d’aiuto di mio padre. Mi bastò aprire qualche scatola fra le centinaia che ancora conservavano l’archivio per capire che nulla andava buttato; scoprendo in seguito che trovare istituzioni disposte a prendersi carico di migliaia di abiti non era così facile». La Modateca come Centro internazionale documentazione moda aperto al pubblico nacque così nel 2005: un’istituzione privata che, a pagamento, mette a disposizione degli uffici stile di tutto il mondo un vero e proprio patrimonio di storia della moda. Non solo l’intero archivio del maglificio Deanna, ma anche interi campionari di noti designer e d’alta moda acquistati nel tempo. E poi modelli vintage, costumi di folklore e tanti capi che costituirono il guardaroba della stessa Deanna. «Qui si capisce cos’è il pensiero creativo, l’intuizione. Cioè quello che ha reso grande il nostro Paese: tanti imprenditori, da noi, spesso nascono artigiani». Una lezione che apprendono i 15 ragazzi che ogni anno imparano tutto ciò che riguarda la maglieria, con un rigore che spesso li rende attivi nel lavoro già al termine degli studi. «Fra lo schizzo e il prototipo prima potevano volerci mesi, adesso poche settimane. Il lusso prima era anche quello di potersi prendere tempo per pensare, mentre adesso i ragazzi devono imparare a correre veloci. Ma nelle nostre sale, so che assorbiranno anche la storia italiana della qualità».
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