L’abito di Miss Universe Singapore
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«Stop Asian Hate». È la scritta che campeggia sul retro del vestito di Bernadette Belle Ong durante il National Costume Show, la sfilata con l’abito nazionale in cui le partecipanti di Miss Universo 2020 sfoggiano look ispirati ai colori e alle bandiere del paese d’origine. Ma quello della candidata di Singapore non è solo un vestito, è uno statement e una protesta.

«Stop all’odio nei confronti degli asiatici». La scritta in stampatello copre quasi tutta la superficie del mantello bianco e rosso con le rouches che ondeggia alle spalle della 26enne attrice e modella di origini filippine, e fa riferimento alle proteste contro i recenti attacchi nei confronti di asiatici e asio-americani avvenuti negli Stati Uniti, in seguito alla pandemia di coronavirus.

«È surreale. Sono già stata in TV, ma questo è diverso. Riguarda me, non un personaggio che sto cercando di interpretare per lavoro. Ho scelto di usare questa piattaforma come voglio, decidendo quale tono e messaggio trasmettere e sono orgogliosa di far risplendere Singapore a ogni mio passo!», scrive Bernadette nella didascalia che accompagna il video del défilé sui social. Un messaggio molto chiaro apprezzato anche dal pubblico che si è lasciato andare a grida e applausi non appena l’attrice e modella si è voltata con un che di teatrale svelando la scritta. Ma a meritarsi gli applausi sicuramente è stato anche il look: un body rosso fuoco con paillettes piuttosto sgambato e degli stivali che arrivano fino a sopra al ginocchio, ai lobi due orecchini pendenti super luminosi.

In questo caso il merito è tutto di Arwin Meriales, stilista filippino di 21 anni, che l’ha realizzato in soli due giorni insieme a Paulo Pilapil Espinosa, autore della scritta dipinta a mano. «Quando Bernadette mi ha chiesto di realizzare il suo abito nazionale – scrive Meriales su Instagram – devo essere onesto, ho pensato che non avrebbe funzionato. Ho avuto solo due giorni per farlo. Considerando che sto ancora studiando, pensavo che non avrebbe funzionato, quindi ero riluttante ad accettarlo. Cosa mi ha fatto dire di sì? Il fatto che questo non è solo un abito. È una dichiarazione e una protesta per fermare l’odio nei confronti degli asiatici. Chi non vorrebbe far parte di una tale causa». E così sempre più spesso i teatri, le passerelle e gli stadi si trasformano da luogo di intrattenimento a palcoscenico di proteste e di messaggi (anche) politici.

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