Quando Letizia Ortiz Rocasolano la sera del 31 ottobre del 2003 si chiuse dietro la porta degli studi televisivi della TVE era una brava giornalista che conduceva uno dei telegiornali più visti in Spagna. Nel giro di una manciata d’ore, la popolare periodista invece di leggere le notizie ai suoi connazionali con una veste totalmente rinnovata uscì dal cilindro magico, diventando essa stessa il caso più importante del giorno. Un appuntamento a cui la futura regina si è presentata con un abito che ha fatto la storia del costume così come il Coronation dress di Elisabetta II di cui vi abbiamo parlato la settimana scorsa.
Fu la stessa Casa Real a dare dignità a un pettegolezzo che una volta fuoriuscito poteva portare a esiti incontrollabili. Nella festa di Ognissanti fece arrivare alle redazioni un comunicato in cui si annunciava il fidanzamento tra la nota mezzobusto e lo scapolo più ambito del paese, Felipe di Borbone. Il principe delle Asturie, un bel marcantonio di quasi due metri, era infatti l’erede al trono di Spagna con un problema che cominciava a destare qualche preoccupazione in patria: a 35 anni non aveva ancora trovato la regina adatta più che per lui, per la sua famiglia.
Il segreto di quell’amore era stato straordinariamente custodito per più di un anno ma, in quei mesi autunnali, nell’ambiente di lavoro di Letizia il suo nome cominciava a rimbalzare di scrivania in scrivania. Quando non c’era più margine per le smentite e per i secchi no comment, i due innamorati furono costretti ad accelerare i loro piani formalizzando l’unione con una protocollare conferenza stampa alla quale parteciparono più di 300 giornalisti accorsi da tutta Europa al cortile del Palazzo Reale di El Pardo.
All’epoca trentunenne, Letizia Ortiz si era fatta strada nella sua professione con determinazione: alternava notiziari a reportage, aveva vinto qualche premio ed era stata inviata in Iraq e negli Stati Uniti funestati dall’attentato dell’11 settembre, solo per citare alcuni dei suoi traguardi. Dentro di lei ardeva da sempre il fuoco sacro del giornalismo (stesso mestiere il padre Jesus e la nonna Menchù) ma non c’era nessuna traccia di sangue blu anzi, una leggera vena repubblicana le scorreva nelle vene. Questo, oltre al fatto che alle spalle aveva un fugace matrimonio durato meno di un anno, non la rendevano la candidata ideale per re Juan Carlos e per la regina Sofia ma il principe si impuntò: o lei o non mi sposo per niente.
Il 6 novembre 2003 Letizia per presentarsi di fronte ai colleghi con accanto il futuro marito scelse una mise con la quale sentirsi a proprio agio per quello spericolato salto della barricata. Di quella giacca bianca con i revers accennati dalle cuciture, foderati per formare una timida scollatura a V rialzata si allacciò i tre bottoni e si infilò i pantaloni larghi e lunghi che coprivano il tacco a spillo necessario a donarle qualche centimetro prezioso per raggiungere sua altezza di nome e di fatto. Il tailleur bianco firmato Giorgio Armani, nonostante quell’aspetto morbido sul corpo, fu la corazza con cui Letizia Ortiz si difese nel difficile passaggio da un habitat familiare a un altro ancora ignoto.
Delle sue «colleghe reali» sappiamo moltissimo delle scelte dell’abito per l’annuncio del fidanzamento. In questo caso le cronache avrebbero potuto fornirci una versione molto più romanzata su questa Cenerentola moderna ma forse la storia è bella così com’è perché ci mostra uno spaccato di realtà in quello che immaginiamo essere come un patinato reame.
Non ci sono topolini e carrozze per Letizia ma una macchina della scorta reale che accompagna l’imminente ex-giornalista in un quartiere fuorimano di Madrid a prendere i propri effetti personali nel suo appartamentino grosso come la cabina-armadio di cui avrebbe preso possesso alla Zarzuela. Tra le cose da ritirare e portare a palazzo c’era anche l’abito che avrebbe indossato nel momento in cui la sua vita sarebbe cambiata per sempre.
Letizia era amica della responsabile di Giorgio Armani a Madrid. Quando il titolo di principessa delle Asturie ti sta per piombare tra capo e collo, una conoscenza che ti apre la boutique il lunedì all’ora di pranzo, senza clienti impiccioni tra i piedi, può senza dubbio farti comodo. A quel punto però non c’era tempo per tergiversare: il countdown era partito e nel giro di una settantina di ore l’outfit scelto si sarebbe dovuto posare come un guanto sulla promessa sposa. Letizia aveva fatto sapere che non voleva un vestito. Pare che in quel tempo non amasse mostrare le ginocchia ma forse è più probabile che volesse portare un pezzo del mondo nei ritratti ufficiali.
In fondo, era la prima volta un futuro re della monarchia spagnola avrebbe sposato una borghese ma soprattutto nessuna prima di lei aveva posato in pantaloni in un rituale così codificato. Non sappiamo se la giornalista fosse consapevole del suo gesto: la stampa non si concentrò troppo sul look quanto su una frase pronunciata mentre i due piccioncini stavano rispondendo alla domande dei giornalisti. Mentre Letizia, concentratissima, stava dichiarando impegno eterno nei confronti del paese, Felipe senza farci troppo caso, la interruppe.
«Fammi finire» disse lei al suo principe, mentre riprendeva fiato e il filo del discorso che includeva – tra l’altro – una captatio benevolentiae per la futura suocera. Erano tutti talmente presi a giudicare lei come inopportuna (in fondo era una normale dinamica tra due fidanzati, solo che lui era figlio di un re quindi – teoricamente – non si fa) che il completo di Armani prese una strada tutta sua facendo esplodere una tailleur-mania per tutta la Spagna. L’abito che costava qualcosa più, qualcosa meno di 2mila euro, andò sold out subito a Madrid ma a Barcellona si sparse subito la notizia che qualche esemplare era stato rimesso prontamente in vetrina.
Almeno una decina di anni prima di Kate e poi di Meghan, il Letizia-effect aveva provocato quella reazione a catena di cui parla Miranda Priestley ne Il diavolo veste Prada nel famoso discorso del ceruleo. Nati per le passerelle o per le boutique più esclusive, certi capi arrivavano poi nei negozietti e alla fine nelle bancarelle: in Spagna in quel momento era tutto un fiorire di tailleur bianchi. Zara, il colosso di casa di proprietà di Amancio Ortega, non si lasciò scappare l’occasione e si affrettò a mettere in produzione una replica del completo giacca e pantalone in 100% rayon da acquistare alla modica cifra di 124 euro (un sintetico al mercato si poteva trovare anche a 50 euro). Quello che mandò in brodo di giuggiole le clienti non fu tanto la possibilità di andare vestiti alle cerimonie di quel periodo come la loro nuova icona di stile, quanto l’occasione di trovare una taglia 46 di quell’outfit che avevano visto addosso alla fidanzata di Spagna che però vestiva una 36.
Quel 6 novembre 2003 fu piantato il seme di quello che negli anni sarebbe diventato il signature look di una delle donne giudicate tra le più eleganti del pianeta. Per quanto è spesso ritratta con colori vivaci e stampe floreali, il bianco è il colore che la accompagna ancora oggi in tutti i momenti cruciali della sua vita (anche il Museo delle Cere di Madrid l’ha modellata vestendola di quel colore).
Non poteva essere che bianco l’abito da sposa confezionato da Manuel Pertegaz che nella scollatura richiamava un po’ quella della giacca di Armani. È un abito-cappotto bianco quello indossato per il battesimo della primogenita Leonor nel 2006 (rispolverato proprio qualche giorno fa) mentre per quello dell’Infanta Sofia nel 2007 ha prediletto un pizzo sempre bianco. Ancora una volta sul bianco è caduta la scelta del vestito e del cappotto col collo ricamato sfoggiato per la proclamazione a re di Spagna di Felipe VI avvenuta il 19 giugno del 2014, giorno in cui Letizia diventava reina e la piccola Leonor, la nuova erede al trono.
Gli ultimi tre abiti citati sono firmati da Felipe Varela, lo stilista che la regina ha reso noto oltre i confini iberici. Per quanto Armani non sia scomparso dai radar e per quanto ami molto brand come Carolina Herrera, Hugo Boss, Nina Ricci, Letizia è diventata la più grande ambasciatrice della moda spagnola del mondo. Non solo Varela ma anche Lorenzo Caprile e Adolfo Domìnguez, i brand Cherubina e Lola Li e, alla categoria low cost, la consorte reale è una grande indossatrice dei colossi spagnoli Mango, Zara, Uterqüe e Massimo Dutti.
Con il senno di poi, forse, se potesse tornare indietro con la macchina del tempo al giorno del fidanzamento darebbe lustro a uno di questi designer o brand del suo paese ma non si può certo dire che non si sia fatta perdonare in questi 17 anni.
Certo è, firma a parte, che quel tailleur bianco per Letizia è davvero identitario. Di completi immacolati è pieno il suo guardaroba e per distinguerli gli uni dagli altri occorre concentrarsi sui bottoni, sugli orli, sui revers. Tuttavia, tre le decine di scatti ufficiali in candidi completi, uno ha destato subito un’attenzione particolare.
In occasione della visita ufficiale della coppia reale in Marocco nel 2019, è rispuntato all’improvviso l’abito di Armani da cui tutto si è originato. Ai cecchini della moda royal non è sfuggito né il dettaglio né tantomeno la data in cui Letizia ha scientemente reinfilato quella giacca e quei pantaloni così celebri a distanza di 16 anni. Era il 14 febbraio il giorno in cui la regina ci ha mostrato che poteva entrare senza fatica in quei vecchi panni del 2003: scegliere proprio San Valentino per quel repêchage suonava come una rinnovata promessa d’amore nei confronti del marito, quasi come se volesse mettere a tacere una volta per tutte i rumors che ciclicamente danno quel matrimonio in crisi quando non al capolinea.
Quel tailleur in fondo è entrato nella storia con semplicità, senza troppi ricami nel vero senso della parola. Chissà, magari la femminista Letizia ha voluto ricordare le suffragette così come più recentemente ha fatto Kamala Harris oppure per lei quello era davvero un modo per sottolineare che lei era una donna che lavorava e che mai si sarebbe sottomessa ad alcun protocollo. Magari però l’intento era davvero quello di modernizzare la monarchia con una dichiarazione di stile che voleva risultare più irriverente di quel «Fammi finire» che invece ha avuto la meglio in cronaca.
Ma forse quelli, parliamo di quasi vent’anni fa, erano tempi in cui non si doveva ammantare di complessità qualsiasi vestito su cui si accendevano i riflettori, specie su scala reale. Il numero della responsabile di Armani era davvero quello più comodo in rubrica (o viceversa) e la favola senza fronzoli andrebbe comunque bene così.
Letizia probabilmente volle vivere il passaggio con la spensieratezza di chi avrebbe poi passato il resto della vita a ponderare scelte. Immaginarla a passeggio con l’amica per le strade di Madrid mentre tiene in mano la custodia dell’abito buono da non sgualcire, fa decisamente più simpatia.
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