Questo articolo è pubblicato sul numero 12 di Vanity Fair in edicola fino al 23 marzo 2021
LUCIA SILVESTRI: DEVE VINCERE LA MERITOCRAZIA
Potevo occuparmi del lato meramente estetico della selezione delle pietre, ma quando si arrivava al fulcro del business, la negoziazione, non mi veniva riconosciuta la stessa credibilità, determinazione e conoscenza che sarebbe stata data a un mio corrispettivo maschile». Per Lucia Silvestri, direttrice creativa di Bulgari dal 2013 ma in azienda fin da giovanissima, le prime esperienze come buyer di pietre sono state un grande spunto su cui riflettere in fatto di donne e potere. «Io non mi considero (e non mi sento) una donna di potere, piuttosto una donna di esperienza. È molto diverso ed è proprio grazie a ciò che ho guadagnato il rispetto di chi lavora nel settore. C’è un’eredità storica che associa certi ruoli agli uomini, anche se le cose negli ultimi anni hanno iniziato a cambiare. Nel caso di Bulgari, la parità di genere è ben radicata nel Dna dell’azienda: basti pensare che oggi il 62% dei nostri manager a livello mondiale sono donne. In generale però, per arrivare a considerare una donna in posizioni di vertice la regola e non l’eccezione, credo ci sia ancora molta strada da fare». Altro cardine della sua filosofia di vita da applicare anche al mondo del lavoro è il corretto rapporto tra autocoscienza e sogno: «È importante inseguire i propri sogni, ma al tempo stesso bisogna saper riconoscere i propri talenti così come prendere atto dei limiti».
Dopo di che, per puntare concretamente a una parità di genere, Silvestri crede soprattutto nell’attenersi quotidianamente al criterio della meritocrazia: «Ritengo sia importante educare a questo concetto fin dall’infanzia, così come portare l’attenzione a donne che con il loro talento e la loro cultura hanno rappresentato un’eccellenza nel proprio campo. Penso alla grande Zaha Hadid: la sua mente brillante e personalità dirompente hanno dato vita a una creatività visionaria tra le più importanti nel mondo dell’architettura». E da ricordare sono anche alcune iniziative della maison, come i Bulgari Aurora Awards, che celebrano il talento femminile
CHIARA PISA: IMPARIAMO A NON SOTTOVALUTARCI
Pisa Orologeria è molto più che una boutique nel cuore di Milano dove negli anni sono passati personaggi incredibili in cerca di segnatempo preziosi. Nel 1971 due sorelle, Grazia e Maristella Pisa, prendono il timone dopo la scomparsa del padre e fondatore Ugo. Due donne decise, competenti e capaci di farsi rispettare nel mondo degli orologi, allora considerato una roccaforte maschile. Della stessa tempra è Chiara, figlia di Maristella e attuale amministratrice delegata, che racconta: «L’argomento del femminile è uno dei più sensibili e importanti per quanto mi riguarda, sia come donna che come professionista, e ci tengo a sottolineare che mi sento solamente di parlare dal mio punto di vista, basandomi sulla mia piccola esperienza, che è la mia vita e la mia azienda nella fattispecie. Mi sono accorta di essere sempre stata circondata da uomini in ruoli di potere, anche sotto la mia stessa gestione attuale di amministratrice delegata. Riflettendoci in maniera lucida e autocritica, io stessa in primis ho dovuto lavorare molto per superare un blocco mentale che mi portava un tempo a sottovalutarmi rispetto ai colleghi maschi, i quali sono molto più competitivi per natura. Quindi adesso pongo estrema attenzione nel capire se questo avviene anche all’interno di Pisa Orologeria, soffermandomi sulle figure femminili per far sì che la loro “luce” brilli proporzionalmente al loro valore effettivo. In questo modo posso provare a valorizzare al massimo un potenziale che altrimenti rischia spesso e purtroppo di rimanere affievolito».
La solidarietà femminile è un punto chiave della visione di Chiara,ì molto legata alla Fondazione Arché, attiva a Milano per supportare madri dai trascorsi difficili affinché ritrovino un buon equilibrio genitoriale e raggiungano indipendenza economica e personale. Quanto a donne da prendere come esempio, l’affascina la storia di Bertha Benz. «Sul finire dell’800 finanzia l’officina del marito Karl, di fatto l’inventore della prima automobile».
SABINA BELLI: L’EMANCIPAZIONE È ANCORA UN TABÙ
Per Sabina Belli, dal 2015 amministratrice delegata di Pomellato con un passato in altre grandi realtà del lusso, in Italia l’empowerment femminile è per certi versi ancora un tabù. «Qui vedo molte più disparità rispetto all’estero: tra il Nord e il Sud, tra generazioni diverse e soprattutto all’interno delle famiglie, dove una donna che vuole fare carriera è spesso mal giudicata. Troppe volte vedo delle giovani messe di fronte alla scelta tra maternità e professione, e mi accorgo che tante non hanno realmente la volontà di affrancarsi dall’ossessione di essere prima di tutto buone madri, poi mogli, poi figlie e, solo in ultima istanza, ciò che si sentono al di fuori dei condizionamenti». Il congedo parentale al maschile, già attivo nel gruppo Kering di cui Pomellato fa parte, lo considera un primo strumento per una migliore suddivisione dei compiti e per aiutare ad alleggerire lo sguardo sociale che mette sotto pressione le donne. «Il governo però dovrebbe impegnarsi di più nel sostegno allo studio. Come fa una ragazza che vive in piccoli centri, dove non ci sono università, ad affrontare le spese di alloggio in città molto care? Dovrebbe esserci un pacchetto fisso di aiuti per loro».
Un’altra proposta nasce invece da un punto di vista al di là degli esempi vincenti dei role model al femminile. «Tante volte capita di incrociare gli sguardi di donne distrutte che si muovono trasandate per la città, schiacciate dal peso di troppi impegni e responsabilità. Non scriveranno mai libri memorabili come Simone de Beauvoir o Natalia Ginzburg, non rivoluzioneranno il sistema educativo come Maria Montessori, il massimo che potranno attrarre sarà uno sguardo di pietà prima di spegnersi nell’oblio. Ecco, io vorrei che, proprio come accade per i tanti monumenti dedicati al Milite Ignoto, intitolassimo una strada alla Donna Ignota, come simbolo dell’immensa solitudine di essere donne». Insomma, anziché celebrare la perfezione, Belli invita ad apprezzare ciò che in qualche modo ha subito un crash, come la collezione Kintsugi di Pomellato, ispirata all’antica tecnica giapponese di rimettere insieme i Cocci, valorizzando con dell’oro, anziché nascondere, il punto di sutura. «È un messaggio di forza perché la cicatrice simboleggia la guarigione, la rinascita».
SILVIA GRASSI DAMIANI: LA PARITÀ SALARIALE PRIMA DI TUTTO
«Ricordati che tu hai tre cose che ti porteranno lontano: istinto, grinta e cuore. Ora vai in Giappone e torna con le perle più belle al prezzo più giusto». Suonavano grosso modo così le parole che Damiano Damiani aveva rivolto all’allora 23enne figlia Silvia, fresca di diploma in gemmologia e spedita in Sol Levante a trattare con i fornitori del posto, per cultura non avvezzi a fare affari con una donna. Oggi Silvia Damiani è vice-presidente del brand fondato dal nonno Enrico nel 1924, che guida insieme ai fratelli Giorgio e Guido, oltre a essere presidente di Venini. Anche se nel tempo ha vissuto mille esperienze, quell’episodio nipponico le è rimasto in testa. «Amo profondamente il Giappone, ma trent’anni fa vedersi arrivare me e le compratrici che mi affiancavano aveva spiazzato i nostri interlocutori», ricorda con un sorriso. «In quel momento era stato fondamentale capire chi mi stava davanti, trovare un modo per tutelare il nostro business e al contempo non umiliare loro, che non erano culturalmente pronti a un’esperienza del genere. Qualcuno potrebbe interpretare il mio giocare di sponda come una mancanza di assertività, eppure io ancora oggi sono convinta di avere fatto la scelta giusta. Non credo nello scontro uomo/donna: per come sono fatta, trovare un punto d’incontro non significa affatto tradire i sacrosanti principi del femminile».
In Damiani il 70% del personale è donna e Silvia sottolinea con orgoglio che la quota è equamente distribuita nella piramide aziendale e con salario equiparato. «Mi rendo conto che noi siamo un’isola felice e all’esterno la situazione è più complessa», aggiunge. «Sono molti gli aspetti da cambiare per migliorare la condizione femminile, uno però è imprescindibile ed è la parità salariale. L’indipendenza e il riconoscimento economico sono alla base del vero empowerment». Si sofferma poi su una riflessione di carattere introspettivo: «Nonostante anni di solida carriera, sono ancora una che lavora per sentirsi dire che sono stata brava. Cerchiamo di dare fiducia e incoraggiamento a tutte, perché infondono grande energia». Poi conclude con un altro ricordo significativo, legato al padre: «Mi diceva che avevo cuore e che non avrei mai dovuto vergognarmene, perché negli affari è un bene».
EUGENIA BRUNI: SIATE LE REALIZZATRICI DEI VOSTRI SOGNI
Per Eugenia Bruni i gioielli sono un affare di famiglia. Il padre Pasquale ha fondato a Valenza il marchio che porta il suo nome e dal 2001 è lei la direttrice creativa della Pasquale Bruni, mentre il fratello Daniele è presidente della filiale statunitense. «Sono entrata in azienda da giovanissima, un ambiente dove in gran parte sono donne. Se c’è una cosa che mi colpisce del lavoro al femminile è la capacità di aiutarsi, di saper sempre trovare la forza di esserci per gli altri. Quando c’è coesione tra donne, non senti nemmeno la stanchezza», racconta Eugenia, autentico fiore d’acciaio, delicata d’animo e volitiva quando si tratta di decidere per la griffe. «Da piccola tutti mi chiamavano principessa, ma io ho sempre pensato a me come a una guerriera, una che vuole essere non solo sognatrice, ma realizzatrice dei propri sogni. Agli inizi certe mie intuizioni venivano contestate, eppure io sono rimasta ferma sulle mie posizioni. Penso, per esempio, all’anello Sissi, che volevo molto alto, una specie di scultura, il simbolo di una donna che aveva osato andare contro le convenzioni. In tanti hanno provato a convincermi che era un errore realizzarlo in quelle dimensioni, senza riuscirci. Era il mio modo di lanciare un segnale forte alle donne: sentitevi libere di vivere il vostro istinto». A tutti i gioielli Eugenia attribuisce un valore che va al di là della preziosità dei materiali usati: «Ogni modello lo intendo come un talismano, uno scudo, una protezione per le donne, e le gemme per me sono i loro occhi, a volte pieni di gioia, altre di sofferenza. I gioielli che disegno sono il mio modo di dare loro coraggio».
Un sostegno concreto a partire dal quartier generale in cui vengono regolarmente formate ragazze per garantire loro un mestiere. «L’indipendenza economica è fondamentale, un obiettivo raggiungibile solo da chi ha accesso a un’adeguata istruzione. La conoscenza è la base su cui deve poggiare l’emancipazione femminile in tutto il mondo. Non possiamo accontentarci di pensare alla condizione della donna in Occidente: nessuna di noi sarà davvero libera se nelle aree più disagiate ci sarà ancora chi non può studiare, lavorare, affermarsi autonomamente». E se potesse scegliere a chi intitolare una via, non avrebbe dubbi: «A Madre Teresa di Calcutta, un esempio che travalica l’ambiente del cattolicesimo. Dovremmo tutti avere più sotto gli occhi la potenza del suo amore»
ALESSIA CRIVELLI: IL POTERE DELLA SORELLANZA
Valenza, anni Settanta. Bruno Crivelli è un esperto artigiano dei preziosi che decide di fondare un’impresa tutta sua. Così nasce il marchio che porta il suo cognome ed è stando al fianco del padre che Alessia Crivelli sviluppa la passione per la gioielleria. «Il nostro è un settore molto eclettico», spiega Alessia, che ricopre oggi la carica di responsabile marketing, «e sono molte le realtà familiari, il che per le donne può essere un bene, ma anche trasformarsi in una situazione difficile da reggere. Capita di avere ansie da prestazione, oppure provare senso di colpa perché le aspettative sono alte su più fronti. Io ho la fortuna di avere un padre che mi ha dato spazio, rispettando il mio punto di vista, purtroppo le cose non vanno per tutte così». Il fatto che la maggioranza dei prodotti del comparto siano pensati per delle clienti ha contribuito, secondo lei, a smorzare i pregiudizi nei confronti del femminile, anche se c’è un nemico molto insidioso che rischia di sabotare il processo di empowerment. «A volte mi succede di vedere donne che si fanno la guerra l’una con l’altra ed è molto triste. Non otterremo mai quello per cui stiamo lottando se continuiamo ad auto-discriminarci. Solo attraverso la vera sorellanza abbiamo modo di fare dei concreti passi in avanti, questo è quanto ho compreso negli anni e non ho scelto la parola sorellanza a caso, o per esprimere un concetto generico. La chiave è smettere di battagliare tra di noi e aiutarci, ogni giorno facendo qualcosa in più».
Madre di quattro figli, Alessia Crivelli presta regolare servizio di volontariato sulle ambulanze della Croce Rossa ed è attiva presso la Fondazione Mani Intelligenti che forma nuovi talenti per la gioielleria. «C’è un altro aspetto importante, che mi piacerebbe fosse preso in considerazione anche da chi ci governa: vorrei imparassimo ad ascoltare di più le esigenze delle persone, specie in un momento storico in cui cambiano repentinamente». E se dovesse rendere omaggio a una donna in particolare, non ha dubbi, sceglierebbe Rosa Parks: «Il suo gesto in sé non aveva niente di incredibile, in fondo lei si è semplicemente seduta in un bus dove le leggi razziali glielo proibivano, eppure la portata di quell’atto è stata epocale. Credo che ben rappresenti la forza di tutte quelle donne che, in silenzio, fanno cose straordinarie».
BARBARA POLLI: CONIUGARE RUOLO E FEMMINILITÀ
«Grazie a una continua ricerca creo gioielli che seguono il cambiamento del ruolo della donna nella società moderna. Le mie creazioni coniugano i ruoli sempre più importanti ricoperti dalle donne con la loro femminilità e l’orgoglio di essere tali», racconta Barbara Polli, romana, classe 1982. Nel 2012, insieme ad Alberto Maria Serraino, ha fondato la maison Farnese Gioielli, nome scelto per rendere omaggio a una delle più importanti famiglie aristocratiche italiane, mecenati di letterati, artisti e musicisti. Profondamente legata alla sua città, ha scelto come sede dell’atelier la centralissima Piazza di Spagna: «Adoro passeggiare qui intorno, nel quartiere Prati e in via Veneto. Ogni giorno scopro qualcosa di nuovo, un piccolo scorcio che non avevo visto prima, un dettaglio
nascosto. Tutto per me è ispirazione. Tutto è arte e magia». Magia che prende vita nelle sue creazioni, sintesi perfetta di tradizioni artigianali e innovazione: Farnese infatti è il primo brand al mondo ad aver trasformato il design statico, tipico dei gioielli, in dinamico. Ciò è reso possibile dagli Spine (in italiano “dorsi”), un sistema – brevettato in 70 Paesi – di chiusure meccaniche e pavé di pietre preziose intercambiabili, con la caratteristica di avere una misura universale abbinabile a qualunque anello o orecchino.
«Un’anima sensibile dal carattere forte», così si definisce Barbara Polli che, se potesse, dedicherebbe una via a Luisa Spagnoli: «A distanza di un secolo, amiamo e utilizziamo ancora i prodotti nati dal suo ingegno: i Baci e la Banana Perugina, le caramelle Rossana, il brand di abbigliamento nato dall’uso del primo filato d’angora ottenuto dal pelo di quei conigli. Fu la prima che, con l’arrivo della Prima Guerra Mondiale e la partenza degli uomini per il fronte, andò incontro alle esigenze delle lavoratrici madri e aprì una nursery e un asilo nido all’interno della sua azienda. È la risposta al femminile dell’imprenditoria illuminata alla Adriano Olivetti».
Per abbonarvi a Vanity Fair, cliccate qui.
ARTICOLO TERMINATO!
E come sempre ti raccomandiamo: se hai domande,dubbi, chiarimenti di qualsiasi tipo, scrivici nei commenti o lascia la tua valutazione! Il team di gomoda è al tuo servizio per la scelta del prodotto migliore. Un saluto!