La locandina
Il celeberrimo outfit
A cavallo tra gli anni ’80 e i ’90
Basta una camicia
Basta una camicia
Guardo i fianchi da un oblò
Il «big mistake» dress
I pois che hanno fatto la storia
I pois che hanno fatto la storia
La mise da parco
Un abito che c’è ma non si vede (bene)
Il red dress per la Traviata
Il blazer blu è per sempre
La leggenda in mostra
Julia Roberts ai Golden Globe
Julia Roberts agli Oscar
Cindy Crawford e Richard Gere
Julia Roberts cita se stessa
Julia Roberts cita se stessa
L’abito adatto per la partita di polo
I pois più imitati
I pois più imitati
I pois più imitati
Uno stile da copiare
Uno stile da copiare
Uno stile da copiare
Uno stile da copiare
Uno stile da copiare

Storia di un guardaroba. A trent’anni di distanza dall’uscita americana della pellicola di culto, gli abiti indossati da Julia Roberts in Pretty Woman continuano a superare la prova del tempo. La trama della pellicola del 1990 (nelle sale statunitensi a partire dal 23 marzo, in Italia dal 14 agosto dello stesso anno) è a tutti arcinota: Vivian Ward, una giovane prostituta, incontra in Hollywood Boulevard un affascinante milionario che risponde al nome di Edward Lewis, interpretato da Richard Gere.

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L’uomo d’affari, in estrema sintesi, la assumerà con l’obiettivo di affiancarlo – giorno e notte – per una cruciale settimana di lavoro in quel di Los Angeles. Per circa due ore di film, si racconta l’evoluzione della ruspante ragazza di strada in una chicchissima donna decisa a riprendersi in mano la sua vita. Dal minidress elasticizzato al blazer blu c’è tutta una crescita nel mezzo che potrebbe spingerci a parlare per Vivian di un «guardaroba di formazione» punteggiato di mise a prova di galateo.

Il cosiddetto Big Mistake Dress.

Entrare nella leggenda con una decina di outfit
Se togliamo le volte in accappatoio, quelle in vestaglia, i vari négligé e i momenti in lingerie, gli outfit veri e propri sfoggiati da Julia Roberts, quelli per intenderci che hanno fatto la storia del costume, non arrivano a dieci. Per la metà del tempo, la nostra Vivian indossa la sua uniforme, quella in cui si sente più a suo agio, ovvero il succinto abito stretch con l’anello che congiunge avanti e dietro il top bianco e la mini tie-dye blu e bianca. Per lei è un vero passepartout e anche il nostro sguardo ogni volta lo percepisce diverso a seconda che sia indossato con la giacca rossa oversize, da solo, con il soprabito di Edward o la sua camicia annodata in vita.

È tutta una questione di abiti
La questione abiti, si diceva, è centrale in tutta la narrazione. Tutto parte dal minidress: quel vestito è fonte di imbarazzo (quasi più per il direttore dell’elegante Beverly Wilshire Hotel che per lo stesso ospite) anche se a rivederla oggi quella declinazione di outfit a cui accennavamo sopra risulta assolutamente pazzesca. Quando le allunga il malloppo per fare shopping, le indicazioni di Edward a Vivian sono di acquistare «niente di troppo vistoso o troppo sexy» e di rimanere sul classico. «Squallido» le risponde lei. «Elegante» specifica lui. È in questo percorso di emancipazione che sembra guidato da Donna Letizia che prendiamo confidenza anche noi con la definizione di «abito da cocktail» e con la pinza per mangiare le «stronze lumachine». Il cambiamento diverrà a tal punto sensibile che anche l’amica, collega e coinquilina Kit De Luca, quando incontrerà Vivian a transizione avvenuta, la prima cosa che le chiederà è: «i vestiti puoi tenerli?».

A Cesare quel che è di Cesare, anzi di Marilyn Vance
È per questo che si può dire, con buona pace del defunto Garry Marshall che ha firmato la pellicola, che la grande regista di tutta questa operazione così riuscita è la costumista Marilyn Vance. «Il viaggio di Vivian inizia attraverso la moda, quando cerca aiuto per cambiare il suo guardaroba per adattarsi allo stile di vita di alta classe di Edwards» ha raccontato la costumista a Hollywood Reporter «ogni abito, incluso l’abito rosso, è stato realizzato su misura per il suo personaggio, realizzando tutto in stile couture». La Vance era già una fuoriclasse a quel tempo: suoi i costumi, solo per fare qualche nome, di Bella in rosa, Breakfast Club e de Gli intoccabili, lavoro che nel 1988 le valse una nomination sia agli Oscar che ai Bafta. Fu la prima donna a curare i costumi per i film d’azione (uno su tutti Die Hard) e tra le prime a comprendere l’importanza del product placement della moda nella cinematografia. Non ci sono state statuette per lei per Pretty Woman (nessuna nomination agli Oscar mentre per i Bafta le preferirono Richard Bruno de Quei bravi ragazzi) anche se le sue creazioni continuano ancora oggi a essere una pietra miliare e una fonte di ispirazione per la moda.

Sexy con carattere, il minidress di Vivian
Tornando all’outfit iniziale, Marilyn Vance voleva per il suo personaggio qualcosa che fosse «sexy» e «hot» ma con carattere. C’è molto di lei in quel costume. L’abito stretch si rifà a un costume da bagno che la costumista possedeva da bambina disegnato dallo stilista e attivista gay di origina austriaca Rudi Gernreich mentre gli stivali alti di vernice nera, quelli che Vivian ritocca con il pennarello, li aveva visti in un negozio di Londra, NaNa a Kings Road, famoso nell’ambiente punk. Pensando che fossero perfetti, se li è fatta spedire sul set. Se il cappello da pescatore invece era di sua proprietà, il blazer rosso invece, narra la leggenda, pare appartenesse a una maschera di un cinema poco distante da dove stavano girando: la rilevarono per 30 $.

In una foto di scena, insieme a Richard Gere e Julia Roberts, c’è il regista Garry Marshall. Foto Everett/Contrasto.

L’unica grande firma, quella della costumista
Nonostante Vivian nel suo giro di shopping attraversi tutta Rodeo Drive e si veda una carrellata di grandi firme, a quanto dichiarato dalla Vance, gli abiti sono tutta farina del suo sacco nonostante, ad esempio, il famoso abito da cocktail nero arriva nella stanza dell’hotel dentro una custodia Gucci. Il luogo in cui si tiene la famosa scena dello shopping si chiamava Torie Steele (si può vedere la scritta accanto a un camerino) ed era una boutique in cui si potevano comprare abiti made in Italy di Valentino (il marchio appare in qualche scena), Ferrè, Versace e Krizia. L’atelier del «bello sbaglio, enorme», quello con le commesse snob che lavorano a percentuale, si chiama Boulmiche e dal 1973 veste le donne di Beverly Hills. Tra le curiosità, le scene di Rodeo Drive sono state girate di domenica perché le regole per girare in quella strada erano molto stringenti.

Pois per il polo
Tra gli abiti da giorno, il più iconico è di sicuro quella per la partita di polo marrone a pois bianchi. La seta con cui è stato realizzato era uno scampolo di un negozio di tessuti di West Hollywood recuperato in uno scantinato: la quantità è stata appena sufficiente per creare il vestito e la rifinitura del cappello. Da un punto di vista filologico forse questo è l’outfit centrale visto che la Vance nel disegnarlo voleva restituire l’allure dell’abito indossato ad Ascot da Eliza Doolittle interpretata da Audrey Hepburn in My Fair Lady: Pretty Woman è infatti considerata una rivisitazione del film del 1964 diretto da George Cukor, a sua volta tratto dall’opera Pigmalione di George Bernard Shaw. In queste scene compare una delle poche griffe indossate da Julia Roberts: le scarpe sono infatti di Chanel.

Audrey Hepburn interpreta Eliza Doolittle ad Ascot in My Fair Lady di George Cukor. Foto Getty.

Rosso per la Traviata
A fare letteralmente la storia c’è l’abito da sera rosso scarlatto con la scollatura a cuore e le spalle scoperte sfoggiato per la serata a teatro. I più attenti avranno scorto il vestito su un manichino mentre Vivian accenna un balletto tra le Mary Jane, Mary Kate e Mary Beth a sua disposizione nella girandola di outfit che scorrono mentre va la canzone simbolo del film, Oh, Pretty Woman di Roy Orbison. Per quanto riguarda l’alta moda, i riferimenti più smaccati potrebbero essere Valentino e Yves Saint Laurent, anche se Marilyn Vance aveva in mente un famoso dipinto: il ritratto di Madame X di John Singer Sargent. Inizialmente Garry Marshall aveva insistito perché l’abito fosse di un ben più rassicurante nero ma la costumista era sicura che il rosso avrebbe avuto tutto un altro impatto. La storia del resto si fa anche con gli azzardi e, con il senno di poi, non possiamo che darle ragione. In un’intervista rilasciata a Elle per il ventennale del film, la stessa Vance si sorprende del successo dell’abito, molto richiesto negli anni specialmente da uomini che vogliono ricreare la medesima scena. «Sono tutti texani quello che lo richiedono, chissà perché!» ha detto.

Una delle scene più famose del film. Foto Everett/Contrasto

I gioielli scortati
A impreziosire l’outfit c’è sicuramente la parure di rubini. Prestata nella finzione e nella realtà, la collana e gli orecchini in oro bianco 18 carati, diamanti e rubini sono stati creati appositamente da Fred Paris Joaillier. Il valore dei gioielli era di 250mila dollari: per questo motivo ogni movimento di Julia Roberts sul set era seguito da una guardia armata che controllava che i preziosi non sparissero.

Cerruti per Richard Gere
Tuttavia non è che i costumi di Edward fossero improvvisati, anzi. Tutti i suoi abiti, tranne lo smoking della serata alla Traviata che è stato acquistato, sono stati realizzati appositamente per lui da Nino Cerruti. La Vance lo immaginava estremamente elegante, senza però nessun tipo di esagerazione. Negli Stati Uniti non c’era niente all’altezza, anche in termini di materia prima, quindi la costumista volò a Biella nello stabilimento del Lanificio F.lli Cerruti per commissionare una serie di completi su misura. Un binomio, quello tra Cerruti e il cinema, molto celebrato: sono stati disegnati dal Signor Nino anche il look da yuppie di Michael Douglas in Wall Street e in Basic Instinct e Tom Hanks in Philadelphia, solo per citarne alcuni. C’è da dire che, mentre gli outfit di Julia Roberts sembrano cristallizzati nel tempo, quelli di Richard Gere con quegli ampi revers delle giacche e quei volumi abbondanti sono quelli che hanno accusato i decenni passati.

Due guardaroba a confronto: Vivian è attualissima, i revers di Edward tradiscono il passare del tempo. Foto Getty

Un guardaroba inossidabile
Cosa ha reso immortali gli abiti di Vivian? Al di là dell’ingegno di Marilyn Vance e del portamento impeccabile di Julia Roberts nonché l’amore per questa inossidabile commedia romantica, il mondo della moda ci ha messo indubbiamente il suo zampino. Non si contano i tentativi di imitazione e le citazioni tratte dall’immaginario targato Pretty Woman. Negli ultimi anni soprattutto, si registra un incredibile revival del polka dot dress della partita di polo da parte di brand più o meno low cost come Zara, Asos e Mango. Senza parlare del momento d’oro che il blazer sta rivivendo. In questo caso gli esemplari visti nel film sono quasi tutti da recuperare, da quello rosso più trasgressivo dell’inizio fino a quello pesca abbinato ai bermuda che l’amica Kit non vuole sgualcire. Che dire poi dell’outfit indossato all’inizio della storia che non vediamo, quella in cui la coppia si ricongiunge in un reciproco salvataggio. Il 23 marzo 1990 saranno esattamente trent’anni che quel look “un jeans e una maglietta con giacca blu” raccontano la perfezione. Se l’amore come la moda passa, lo stile dentro il guardaroba resta perché un blazer blu è come un diamante: per sempre.

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